Rubrica: PASSATO E PRESENTE |
Il prezzo della pace. Il trattato con l’Italia, Parigi 10 febbraio 1947In occasione del 60mo anniversario dei Trattati di Roma, è utile ricordare le condizioni precedenti del nostro paese a seguito della disastrosa seconda guerra mondiale.
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sabato 1 aprile 2017
Argomenti: Guerre, militari, partigiani Argomenti: Storia Le conseguenze gravissime della sciagurata guerra fascista a fianco della Germania negli anni 40-43, pensiamo siano poco conosciute dagli italiani di oggi, se tante volte si sente rimpiangere dall’uomo della strada i tempi in cui “i treni arrivavano in orario” e c’era in Italia “un uomo solo al comando”. Dobbiamo dire che, salvo le leggi razziali, attribuite tra l’altro alla responsabilità di Hitler, non si è mai sentito veramente deprecare la guerra rovinosa nella quale Mussolini precipitò il nostro paese. Si tratta di amnesia, di rimozione o di scarsa o nessuna conoscenza? Anche i libri di testo adottati nelle scuole, i manuali di storia, per decenni hanno omesso l’informazione sugli argomenti più scabrosi favorendo una revisione indulgente del fascismo, che in certi ambienti dura tuttora. Così pure solo adesso, grazie all’apertura degli archivi della ex Unione Sovietica, si comincia a sapere del numero altissimo degli italiani non più ritornati dalla folle campagna di Russia e che oltre i caduti in combattimento dei 70mila prigionieri di guerra ne sopravvissero solo 10mila, analogamente nell’ombra è rimasto il dramma dei 650 mila militari italiani internati nei Lager perché resistenti al nazifascismo, argomenti per i loro risvolti politici destinati al dimenticatoio. Similmente si è sorvolato sulle pesanti condizioni di pace cui fu costretta l’Italia - considerata nazione nemica nonostante la Resistenza e l’apporto della cobelligeranza. Il blocco sovietico, l’Inghilterra e la Francia agirono esclusivamente in funzione dei loro interessi di potenza e di sicurezza, quanto agli Stati Uniti, pur costituendo il maggior punto di riferimento dell’Italia nella trattativa, la loro preoccupazione fu piuttosto quella di arrivare ad un accordo che sui contenuti di questo. La pace fu sottoscritta a Parigi il 10 febbraio 1947 proprio 70 anni fa e nella delusione generale il compito di firmare venne affidato al segretario generale della delegazione Antonio Meli Lupi di Soragna in qualità di semplice funzionario e non di politico, per conferire al gesto il basso profilo di un adempimento meramente formale. Sul prezzo di questa pace vogliamo qui doverosamente richiamare l’attenzione [1]. Questa in particolare comportò, nella parte orientale, la perdita di lembi non piccoli del territorio nazionale, conquistati con grande sacrificio di sangue nella prima guerra mondiale e il dramma della popolazione giuliana costretta a lasciare quei territori passati sotto la sovranità della ex Iugoslavia. Un esodo imponente di oltre 250 mila persone di cui in Italia si è avuta poca percezione se non fosse che da qualche anno. è stato istituito con la Legge 30 marzo 2004 n. 92 il Giorno del Ricordo da celebrarsi il 10 febbraio per commemorare le vittime delle foibe del 1943-1945 e l’esodo, nel dopoguerra, di circa 250.000 persone di lingua italiana dall’Istria e dalla Dalmazia. Quindi non solo l’esodo ma anche le stragi di italiani precipitati nelle foibe carsiche prima della fine della guerra e poi a guerra finita, sono state un altro colpevole gravissimo buco nero della nostra memoria nazionale. Forse il silenzio dei politici e dei media.
Del resto il comunista Palmiro Togliatti si fece lui stesso sostenitore della concessione di un’amnistia per i reati commessi in quel periodo considerati politici, e l’atmosfera della guerra fredda, che già si respirava in quegli anni, consigliava di sopire i risentimenti verso la Germania, certo è che in nome di una discutibile Realpolitik, per il perseguimento di una politica di pacificazione – si sacrificarono le vittime, la giustizia e la verità. Ora la Storia può essere maestra se la si legge nella sua interezza, nelle parti che ci piacciono e quelle che non ci piacciono, perchè solo se conosciamo correttamente il passato, tutto il passato, possiamo dire chi siamo e di quale memoria vogliamo essere eredi. Conseguenze di queste operazioni politiche di rimozione, occultamento, conoscenza parziale o falsificata dei fatti sono state la svalutazione della Resistenza agli occhi degli stessi italiani, la sopravvalutazione del ruolo svolto degli Alleati, la difficile giustizia sui crimini di guerra perpetrati dai tedeschi e dai loro complici repubblichini sulle popolazioni civili in Italia, di cui si è avuta notizia solo negli anni 90 con la scoperta del cosiddetto armadio della vergogna. Certo la svalutazione della Resistenza italiana si profilò già durante i lavori della Conferenza di pace e colse di sorpresa i nostri delegati, primo fra tutti Alcide De Gasperi che si videro trattati come i rappresentanti di un paese nemico, non di un’Italia che a prezzo di tante sofferenze, innumerevoli vittime e macerie si era liberata dalla dittatura fascista. De Gasperi si era fatto accompagnare dal padre dei sette fratelli Cervi: Agostino, Aldo, Antenore, Ettore, Fernando, Gelindo e Ovidio tutti uccisi per una rappresaglia e da Emma Dell’Ariccia rappresentante dei partigiani della pace e madre dei cinque fratelli Perugia, di cui tre Giovanni, Mario e Settimio morti ad Auschwitz e solo due, Angelo e Lello, ritornati, per una specie di biglietto di visita del prezzo pagato dall’Italia sotto il tallone tedesco. Ma il trattamento fu quello di una nazione sconfitta, una pace senza condizioni. Il testo era stato preparato dai Quattro Grandi, all’Italia non fu consentito di presentare emendamenti. A questo si aggiungeva l’aperta ostilità dell’opinione pubblica francese, la stampa annunciava a caratteri cubitali che l’Italia sconfitta si presentava al tribunale dei vincitori per pagare il fio delle sue colpe. Scrisse in quei giorni il New York Times “l’ironia della posizione di De Gasperi è che egli debba subire la punizione dei peccati commessi dal regime che egli ha combattuto per tutta la vita”. La testimonianza di Giuseppe Brusasca
“Il 10 agosto 1946 all’ora fissata la delegazione italiana si presentò alla Conferenza. Venimmo ricevuti dal Capo del Cerimoniale del Senato francese che ci condusse in un locale di attesa dove rimanemmo fino a quando venne aperta la seduta. Nella mia esperienza di avvocato ebbi l’impressione del trattamento fatto agli imputati tenuti in camera di sicurezza fino all’ingresso in aula dei giudici, De Gasperi era tesissimo e si appartava nei vani delle finestre. Chiamati finalmente in aula, venimmo accompagnati ai seggi che ci erano stati riservati: cinque per parte al centro dell’ultima fila in alto. Il nostro ingresso fece scattare innumerevoli macchine fotografiche e cinematografiche, mentre noi eravamo scrutati con la morbosa curiosità riservata agli imputati dei grande processi. Con un secco colpo di lunga bacchetta, George Bidault che presiedeva l’assemblea, dichiarò aperta la seduta … chiamato alla tribuna, pallidissimo, con il tormento della tremenda responsabilità che gravava su di lui, De Gasperi iniziò con voce accorata il suo discorso che resterà sempre fra le più elevate difese degli interessi di tutti i popoli “. Da italiano e da rappresentante di un paese che si era liberato dal fascismo egli rivendicò il valore della guerra di Liberazione e della cobelligeranza, che pure era stato riconosciuto all’Italia nel comunicato di Potsdam del 2 agosto 1945 nel quale si diceva chiaramente che l’Italia era stata la prima delle potenze dell’ASSE a rompere con la Germania, ma che era sparito nel preambolo del trattato e nei 78 articoli del trattato stesso, cancellando il ruolo di riscatto avuto dal popolo italiano. Purtroppo anche la promessa di entrare subito a far parte dell’organismo dell’ONU, che sembrava compensazione alla belligeranza non fu mantenuta, l’Italia vi entrerà solo nel 1955 alla pari con altri Stati e De Gasperi, che morì nel 1954, attese invano. Ricordiamo le sue parole ferme, vibranti di giusta indignazione:
“Ora non v’ha dubbio che il rovesciamento del regime fascista non fu possibile che in seguito agli avvenimenti militari, ma il rivolgimento non sarebbe stato così profondo, se non fosse stato preceduto dalla lunga cospirazione dei patrioti che in Patria e fuori agirono a prezzo di immensi sacrifici, senza l’intervento degli scioperi politici nelle industrie del nord, senza l’abile azione clandestina degli uomini dell’opposizione parlamentare antifascista (ed è qui presente uno dei suoi più fattivi rappresentanti) che spinsero al colpo di stato.(..) “Che cosa è avvenuto perché nel preambolo del trattato si faccia ora sparire dalla scena storica il popolo italiano che fu protagonista? Forse che un governo designato liberamente dal popolo, attraverso l’Assemblea Costituente della Repubblica, merita meno considerazione sul terreno democratico? La stessa domanda può venir fatta circa la formulazione così stentata ed agra della cobelligeranza: “delle Forze armate italiane hanno preso parte attiva alla guerra contro la Germania”. Delle Forze ? Ma si tratta di tutta la marina da guerra, di centinaia di migliaia di militari per i servizi di retrovia, del “Corpo Italiano di Liberazione”, trasformatosi poi nelle divisioni combattenti e “last but non least” dei partigiani, autori soprattutto dell’insurrezione del nord. (..) Le perdite nella resistenza contro i tedeschi, prima e dopo la dichiarazione di guerra, furono di oltre 100 mila uomini tra morti e dispersi, senza contare i militari e civili vittime dei nazisti nei campi di concentramento ed i 50 mila patrioti caduti nella lotta partigiana. “ Ma, dopo aver contestato punto per punto con lucidità dialettica e passione il diktat alleato, soprattutto nella parte riguardante la questione giuliana, a De Gasperi non restò che inchinarsi alle superiori ragioni dei vincitori, ma lo fece con grande fierezza, con grande dignità, attingendo argomenti alla nostra tradizione cristiana, umanitaria ed europeista e invocando dalle potenze una pace generale e stabile e una collaborazione tra i popoli. Come italiano, come democratico e rappresentante della nuova Repubblica, nella perorazione finale ai delegati sentì di potersi fare garante di quello che sarebbe stato il cammino futuro dell’Italia: “Signori delegati, vi chiedo di dare respiro e credito alla Repubblica d’Italia: un popolo lavoratore di 47 milioni pronto ad associare la sua opera alla vostra per creare un mondo più giusto, più umano”. E davvero possiamo dire che l’Italia in breve
Già Piero Calamandrei nel 1947, l’aveva visto incarnato nell’art. 11 della nostra Costituzione Repubblicana, paragonato “ad una finestra da cui si potevano intravvedere, quando il cielo non è nuvoloso, qualcosa come gli Stati Uniti d’Europa e del Mondo”. Quel sogno che oggi, a 60 dal trattato di Roma, che diede origine alla CEE, è fortemente in crisi per il riemergere degli egoismi nazionali sotto l’onda del fenomeno epocale delle migrazioni, e, dopo l’uscita della Gran Bretagna lo scorso anno, si profilano altre scissioni Non sappiamo cosa ci riserverà il futuro, se l’Europa finirà o non finirà, ma l’Italia, secondo noi, non può dimenticare la sua tradizione umanista ed europeista vecchia di due secoli da Carlo Cattaneo ad Altiero Spinelli, che costituisce il fondamento della sua cultura, e a questa deve informare la sua politica, per migliorare non rinunciare al progetto Europa. Diceva Luigi Einaudi, altro grande europeista: “Questo è l’unico ideale per cui valga la pena di lavorare, l’unico ideale capace di salvare la vera indipendenza dei popoli. Difendendo i nostri ideali a viso aperto, noi avremo assolto il nostro dovere.” Certo ci attendono tempi difficili ma i nostri padri, usciti dal massacro di due guerre, loro sono stati capaci di concepire questa speranza: L’idea europea è in cammino. Potrà momentaneamente sostare o deviare, ma nessuno può fermarla. E’ come un fiume che scompare a fondo valle, ma dopo un cammino sotterraneo ricompare sotto forma di lago o di sorgente nuova. [1] La struttura del Trattato di Pace con l’Italia era stata messa a punto nel luglio del 1946 e gli sforzi fatti da De Gasperi e dalla diplomazia italiana fin dalla conferenza di Londra del settembre dell’anno precedente e quindi da quella di Parigi, avevano avuto un esito molto parziale. L’Italia perdeva la Venezia Giulia in gran parte assegnata alla Jugoslavia e in parte costituita in entità autonoma senza rispettare la linea etnica, sulla cui base era stata formulata la proposta americana; perdeva inoltre Briga e Tenda cedute alla Francia; rinunciava unilateralmente a tutte le colonia, cedeva il Dodecanneso alla Grecia, l’isolotto di Saseno all’Albania. Limiti erano poi fissati ai suoi armamenti e valutata in cento milioni di dollari l’entità delle riparazioni di guerra dovute all’URSS. Diritti di copyright riservati |