Rubrica: LETTURE CONSIGLIATE |
Eredi. Ripensare i padri, (BUR Rizzoli, Saggi)
L’EREDITA’ CULTURALE DEI PADRI ALLA PROVA DEL DUEMILAda Cacciari a B. Spinelli
di
lunedì 2 settembre 2013
Argomenti: Letteratura e filosofia Argomenti: Recensioni Libri Argomenti: Ivano Dionigi Per possedere il capitale di eredità culturale e morale dei padri – secondo Goethe (Faust) – i figli avevano proceduto ad una personale operazione di “conquista”. I valori non vanno infatti tanto trasmessi da generazione in generazione, quanto invece ciascuno di noi può mantenerli se si opera con la consapevolezza di essere all’altezza dei doveri, giorno dopo giorno, ha precisato D. M. Turoldo, come si legge nelle prima pagine di Eredi. Ripensare i padri, con richiamo alla continuità di patrimoni “non inerti”: il libro è a cura di Ivano Dionigi (BUR Rizzoli, Saggi). Dalla introduzione dell’ “eredità di Dio”, così come testimonia l’Apocalisse, c’è un insegnamento che contro la bestialità e contro ogni potere totalitario va riaffermato pur nella crudeltà di tante esperienze in diversi paesi: è un discernimento nell’operare per il bene, come scrive Enzo Bianco. Massimo Cacciari precisa che eredità non significa caricarsi di contenuti o di meri dati presupposti, ma piuttosto rivolgersi su se stessi, nell’interrogazione del passato. Essere eredi – aggiunge il filosofo – significa assumere coscienza dell’angoscia derivante dalla capacità di assumere una nostra autonoma capacità di accettare e fare “propri” liberamente i segni del passato che si intendono tramandare. Come si può constatare, la tradizione non è per questi scrittori consultati, un dato scontato, inerte perché invece va reinventata da chi è in grado di raccogliere l’eredità meritevole. Se Lucrezio preferiva rifiutare qualsiasi obbligo verso il passato, per sostenere invece la novità rivoluzionaria, Agostino preferiva la continuità dell’istruzione cristiana, mentre – osservazione storicamente valida – la rievocazione restauratrice, come quelle della romanità rivendicata da Mussolini (Dionigi), è stata solo illusione retorica. Paolo Grossi preferisce riconfermare il legame tra maestro ed allievi, i quali però possono farsi portatori di valori precisi solo se si impegnano effettivamente per mantenerli. L’interessante volume prosegue nel riportare tanti altri interrogativi ed opinioni da Recalcati a Barbara Spinelli. La nota giornalista s’intrattiene “dalle penultime cose alle ultime” rivolgendosi quindi all’esigenza di disvelare i passaggi salienti contro ogni fatalismo per “abitare poeticamente la terra”, secondo quanto scrive Hönderon. Nel libro, documentato e di lettura istruttiva, sono quindi riportati testi significativi (da Omero a Platone): sacrifici, speranze, conferme, illusioni si susseguono in un ininterrotto prodursi di “parole che ripetono concetti tramandati”. Così il pio Enea diventa il padre per antonomasia, simbolo di una continuità storica che supera le generazioni e segna i passaggi di generazioni nel rispetto della lezione dei maestri. Ma con quanto accade in Europa nella generazione di oggi, come possono i figli raccogliere una eredità non credibile? Infatti la scuola (palestra per antonomasia) non è in grado di esprimere valori che non sussistono per mera riproduzione. Ecco perché tanti ragazzi, pur impegnati nel tramandare valori validi, possono lasciare solo segni negativi. E la lezione del nostro Novecento? Oppure il segno di una tecnologia, incurante di quel che si perde nell’uniformismo delle menti? Le parole sono pietre: solo l’impegno personale (al di fuori di chiese e di case precostituite) può ancora essere un segno fruttifero: quindi le persone prima di tutto, anche della tecnicità. Almeno a noi sembra. In queste pagine inoltre è richiamata la triade dell’indimenticabile Alexander Langer (una personalità che ha contribuito a formare molti giovani di una generazione non ancora estinta, almeno per i valori nei quali egli ha voluto credere): lentius, profundius, soavius: indicazione purtroppo trascurata. E giustamente si ricorda che “ereditare” valori non è solo impossessarsi di qualcosa che esiste fuori di noi, bensì esperire il vuoto, , al di là della disperazione. Parole amare ma utili a chi cresce nel “vuoto” della indifferenza. Diritti di copyright riservati |